Articoli e riflessioni

Perchè non andrei mai da un counsellor...

In questi ultimi mesi del 2018 si è parlato molto di counseling e nel momento in cui scrivo la polemica è ancora aperta. Non voglio tediarvi con tutti i passaggi burocratici, con le iniziative di alcuni Ordini degli Psicologi regionali contro le iniziative e alcune dichiarazioni ambigue da parte dell’Ordine Nazionale degli Psicologi (CNOP), non vi annoierò scrivendo di leggi o di altro. Quando scrivo gli articoli per questo “blog” ho sempre in mente i potenziali lettori, persone che magari accedono a queste pagine inserendo nel motore di ricerca di Google termini come “psicologo a Palermo”, “psicoterapeuta”, “ansia”, “attacchi di panico”, “depressione” o altro. Probabilmente tra queste persone, alcune in questo momento della loro vita stanno attraversando un momento di malessere psicologico e cercano qualcuno o qualcosa che possa aiutarli ad uscirne. Alcune di queste persone sono probabilmente disorientate, non conoscono la differenza tra uno psichiatra, uno psicoterapeuta ed uno psicologo e, non avendo chiaro quale sia il loro malessere, non hanno chiaro quale sia il professionista più adatto a loro. Nel blog sono già presenti articoli che parlano della differenza tra le tre professioni scritte sopra, o articoli sulle leggi che regolamentano la professione di psicologo e di psicoterapeuta, o ancora articoli che spiegano ogni articolo del codice deontologico e le sue implicazioni teoriche e pratiche. Vi rimando a questi articoli se siete interessati ad approfondire questi aspetti.

In questo articolo invece vorrei scrivere del counselling e dei rischi che si corrono quando a praticarlo è una persona non preparata e non autorizzata.

Se cercate su wikipedia la parola “counseling” le prime tre righe che incontrerete saranno queste:

“Il termine counseling (o anche counselling in inglese britannico) indica un'attività professionale che tende ad orientare, sostenere e sviluppare le potenzialità del soggetto, promuovendone atteggiamenti attivi, propositivi e stimolando le capacità di scelta. Si occupa di problemi non specifici (prendere decisioni, miglioramento delle relazioni interpersonali) e contestualmente circoscritti (famiglia, scuola, lavoro). In Italia tale attività è svolta dallo psicologo, come atto tipico della propria professione”.

In Italia tale attività è svolta dallo psicologo… questa a mio avviso è la frase più importante, perché il counseling è un atto tipico della nostra professione. C’è la falsa credenza che la nostra professione si basi su un ascolto (più o meno attento) delle problematiche portate dall’altro e sull’elargizione di una serie di consigli sul “cosa fare” e sul “come farlo” affinché le cose possano sistemarsi. C’è la falsa credenza che “tutti siamo un po’ psicologi”… Nulla di più sbagliato. La nostra professione prevede una serie di competenze (attive e passive) che si acquisiscono in svariati anni di studio, tirocinio, seminari, congressi e tanto altro. Per definirsi psicologo bisogna superare un esame di stato al quale si accede solo con una laurea quinquennale in psicologia ed un anno di tirocinio professionalizzante. Per diventare uno psicoterapeuta bisogna aggiungere a quanto scritto prima altri quattro anni di una scuola di specializzazione riconosciuta dal ministero e, molto spesso, una psicoterapia personale. Amici, familiari, sacerdoti, vecchi saggi, guru, sciamani e altre figure danno e daranno consigli basati non su competenze scientifiche, ma su esperienze e vissuti propri che a volte non fanno altro che danneggiare l’altro colpevolizzandolo o sminuendo il problema. A tutte queste figure mancano tutta una serie di competenze (quella diagnostica in primis) che permettono di inquadrare veramente il malessere all’interno di un sistema familiare e sociale che chiunque di noi si porta dentro e dal quale chiunque di noi è attraversato. Lo psicologo competente non consiglia, lo psicologo competente apre nuovi scenari, nuovi punti di vista e lascia sempre libero il suo paziente di agire come vuole e come può.

Altra frase presa da wikipedia: “Il counseling è una professione non organizzata, ovvero priva di una legge istitutiva e di un ordine professionale. A seguito del varo da parte del parlamento della legge 14 gennaio 2013, n. 4, "Disposizioni in materia di professioni non organizzate" il counseling è stato inserito tra le professioni intellettuali, per esercitare le quali non è necessario seguire alcun iter specifico. La normativa lascia al singolo professionista la facoltà di qualificarsi professionalmente intraprendendo un percorso privato di certificazione professionale presso un'associazione professionale di categoria o attraverso la cosiddetta autoregolamentazione volontaria. Da un punto di vista pubblicistico chiunque può dichiararsi "counselor" senza alcun obbligo di formazione specifica”.

Non è necessario seguire alcun iter specifico… chiunque può dichiararsi “counselor”… personalmente mi vengono i brividi. Pensare che chiunque può aprire la porta di uno studio e accogliere una persona che sta male, giocando con la salute di questa persona, avendo la presunzione di “poterla aiutare” e di “saperla aiutare” è un qualcosa che mi lascia perplesso.

Ad oggi, con un corso di appena qualche week-end al mese per due anni (o anche meno) si diventa counselor… a mio avviso non basta per prendersi cura di qualcosa di così delicato come la nostra psiche, le nostre emozioni, la nostra capacità di stare al mondo, di amare, di lavorare, di avere una vita relazionale e sessuale soddisfacenti. Una recente campagna contro l’abuso della professione di psicologo, promossa dall’associazione “AltraPsicologia” recitava così: “non mettere la tua testa nelle mani del primo che capita”.

Ovviamente le associazioni di counselor affermano di prendersi cura di problemi generici, di non occuparsi di psicopatologia e di mantenersi a distanza da aree che, legalmente, non gli competono. Questo può essere vero, non penso che i counselor siano truffatori o cattive persone. Solo mi chiedo come facciano ad accorgersi, quando hanno un cliente davanti, che questi abbia o non abbia una patologia sottostante al problema che porta. Ad esempio, come fanno a capire che la persona che si rivolge a loro lamentando una “sfortuna” nelle relazioni sociali non abbia in realtà un disturbo di personalità borderline che lo porta a fare allontanare inconsciamente tutti quelli che gli si avvicinano? Con quali competenze riescono a differenziare una semplice difficoltà momentanea (che tutti noi possiamo avere) da un qualcosa di più profondo che causa quella difficoltà? Il problema a mio avviso non sta nell’onestà intellettuale di chi svolge un lavoro, ma nelle competenze realmente acquisite che gli premettono di svolgere quel lavoro al meglio.

Per questi motivi io, personalmente, non andrei mai da un counselor. Certo, probabilmente costa meno di uno psicoterapeuta, probabilmente il percorso proposto sarà anche più breve, ma i risultati saranno (se ci saranno) sicuramente inferiori sia in qualità sia in stabilità e durata a lungo termine. La nostra salute mentale è preziosissima, non sottovalutiamola. Quando chiedete aiuto controllate sempre che la persona che avete contattato abbia le credenziali giuste: iscrizione all’albo professionale, abilitazione all’esercizio della psicoterapia (qualora vogliate intraprendere un percorso di psicoterapia), assicurazione RC professionale, possibilità di fatturare le prestazioni. Così facendo vi proteggete dal punto di vista legale, e avrete più fiducia sul fatto che il professionista che vi sta accogliendo sia preparato e autorizzato.

 

G.Massimo Barrale - Psicologo Psicoterapeuta - Palermo

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