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Elaborare il lutto - Quando l'amore in presenza deve diventare amore in assenza

Il "lutto" in psicologia ha la valenza generale di "perdita" e il processo psicoemotivo che innesca è sostanzialmente lo stesso a prescindere dal tipo di perdita subìta, purché riguardi un aspetto rilevante della vita. Si può, quindi, sperimentare un "lutto" anche dopo un licenziamento, un divorzio o la morte di un animale domestico che teneva compagnia da anni. Tuttavia, è evidente che, nell'accezione comune, il lutto per eccellenza è quello relativo alla perdita di una persona cara, esperienza a cui si evita, fin dove possibile, di pensare, ma con la quale quasi tutti, in una o più occasioni della vita, sono purtroppo costretti a confrontarsi.

Un lutto è sempre doloroso, non soltanto per l'inevitabile dispiacere di non poter più avere al fianco un affetto importante, ma anche perché impone a chi resta di ridefinire la propria esistenza e trovare un nuovo equilibrio in un sistema di riferimento affettivo e "pratico" sensibilmente modificato. Dopo essere venuti a conoscenza della perdita, è del tutto normale provare disperazione, rabbia, rifiuto della situazione, seguiti da sofferenza psicoemotiva e profonda mancanza della persona cara. Questi stati d'animo, di norma, perdurano per alcuni mesi, ma non di rado possono persistere anche per 1-2 anni.

Nel lutto "fisiologico", le emozioni negative, il disagio e il senso di colpa e smarrimento tendono a essere elaborati, più o meno consapevolmente, e ad attenuarsi con il passare del tempo, permettendo a poco a poco di recuperare un buon tono dell'umore e di ricominciare a vedere la propria vita in una prospettiva positiva. Per alcune persone questo processo di elaborazione e adattamento può essere più lento e difficile che per altre, lasciando in uno stato di significativa prostrazione molto a lungo ed esponendo al rischio di complicanze, prima tra tutte l'instaurarsi di un episodio depressivo, soprattutto in soggetti predisposti.

Per evitare di soffrire più del dovuto dopo una perdita importante è essenziale prendersi cura di se stessi, come si farebbe durante la convalescenza di una malattia, "proteggersi" da sensi di colpa, non sentirsi obbligati ad assumere determinati atteggiamenti o a provare emozioni formalizzate perché ciascuno soffre a modo proprio, con i propri tempi, le proprie difficoltà e le proprie risorse. Alcune "strategie" psicologiche e comportamentali possono aiutare a reagire positivamente a una situazione oggettivamente critica.

Le prime descrizioni della sintomatologia post lutto vennero proposte da Lindermann nel 1944 dopo un incendio al Night Club Coconut Grove di Boston. Esse comprendevano:

  1. Disturbi somatici di vario tipo
  2. Preoccupazioni riguardanti l’immagine del defunto
  3. Sensi di colpa nei confronti della persona scomparsa o delle circostanze della morte
  4. Reazioni ostili
  5. Perdita della capacità funzionale preesistente
  6. Tendenza ad assumere tratti comportamentali tipici del defunto

Questa sintomatologia gli permise di definire 3 principali stadi del lutto:

  • Shock e incredulità
  • Cordoglio acuto
  • Risoluzione del processo di Cordoglio

Successivamente Bowlby (1982), che per molto tempo si concentrò sullo studio della costruzione e della rottura dei legami affettivi identificò 4 fasi del lutto:

  • Una prima fase di disperazione acuta, caratterizzata da stordimento e protesta. Solitamente questa fase si caratterizza per il rifiuto della perdita.
  • Una fase d’intenso desiderio e di ricerca della persona deceduta (alcuni mesi o anni).
  • Una fase di disorganizzazione e di disperazione.
  • Una fase di riorganizzazione, durante la quale gli aspetti acuti del dolore cominciano a ridursi e la persona afflitta comincia ad avvertire un ritorno alla vita.

Facendo riferimento alla teoria a cinque fasi di Kübler Ross (1990; 2002) – possiamo definire l’elaborazione del lutto come un processo che si sviluppa attraverso questi momenti:

  • Fase della negazione o del rifiuto: costituita da una negazione psicotica dell’esame di realtà;
  • Fase della rabbia: costituita da ritiro sociale, sensazione di solitudine e necessità di direzionare il dolore e la sofferenza esternamente (forza superiore, dottori, società…) o internamente (non essere stati presenti, non aver fatto di tutto…);
  • Fase della contrattazione o del patteggiamento: costituita dalla rivalutazione delle proprie risorse e da un riacquisto dell’esame di realtà;
  • Fase della depressione: costituita dalla consapevolezza che non si è gli unici ad avere quel dolore e che la morte è inevitabile;
  • Fase dell’accettazione del lutto: costituita dalla totale elaborazione della perdita e dall’accettazione della differente condizione di vita.

Le sopracitate sono appunto fasi e non stadi, poiché non si assiste rigorosamente a una sequenzialità, ma esse possono presentarsi con differenti tempistiche, alternanze, intensità.

Qualora ci si renda conto di trovarsi in uno stato di sofferenza psicoemotiva eccessiva, che non dà segni di miglioramento dopo 2-3 mesi o che tende addirittura a peggiorare, è consigliabile rivolgersi a uno psicologo per avere un supporto specialistico e affrontare meglio il problema. Molto probabilmente, si sta sperimentando il cosiddetto "lutto patologico" o "disturbo da lutto complicato persistente", una vera e propria malattia psichiatrica (codificata anche nel Manuale diagnostico statistico delle malattie psichiatriche - DSM 5, nel capitolo dedicato ai disturbi dell'adattamento) che, per essere superata in tempi ragionevoli e senza rischi secondari, richiede un intervento di sostegno psicologico mirato o un breve ciclo di psicoterapia, eventualmente affiancati da una terapia farmacologica nei casi più gravi.

Chiunque può sperimentare un disturbo da lutto complicato persistente dopo la perdita di una persona cara, soprattutto se la perdita è avvenuta in modo improvviso e imprevedibile e se ha interessato una persona giovane cui si era molto legati (in particolare, un figlio). Tuttavia, la probabilità di veder perdurare la sofferenza e lo stato di prostrazione legati al lutto sono maggiori nelle persone che già soffrono di un disturbo psichiatrico o che sono predisposte a soffrirne, poiché qualunque trauma significativo agisce da fattore scatenante/precipitante. Tra i principali elementi che aumentano il rischio di sperimentare un lutto patologico vanno ricordati:

  • Morte improvvisa o violenta (incidente stradale o sul lavoro, aggressione, suicidio ecc.);
  • Morte di un figlio;
  • Perdita di una persona molto vicina o da cui si era parzialmente dipendenti;
  • Assenza di relazioni affettive solide o di una rete di supporto sociale;
  • Storia di depressione o di altri disturbi psichiatrici;
  • Esperienze traumatiche, abbandono o abusi nell'infanzia;
  • Scarsa resilienza (capacità di reagire positivamente alle situazioni difficili/stressanti) e/o adattabilità ai cambiamenti;
  • Presenza di stress significativi di varia natura (difficoltà economiche, relazioni familiari difficili, malattie ecc.).

Nei primi mesi dopo la perdita di una persona cara, le sensazioni che si provano nel caso di un lutto "fisiologico" sono del tutto sovrapponibili a quelle del lutto complicato persistente. A differenziare le due forme è essenzialmente l'andamento della severità dei sintomi, che migliorano nel primo caso e perdurano/peggiorano nel secondo. Gli aspetti cui si deve prestare attenzione, se persistenti, sono in particolare:

  • Dolore profondo e disperazione associati al pensiero della persona cara venuta meno;
  • Pensiero costante della persona deceduta e perdita di interesse in gran parte degli altri aspetti della vita;
  • Ricordo continuo dei momenti trascorsi con la persona cara o, al contrario, tentativo di evitare ogni oggetto, frase, situazione che possa ricordarla;
  • Difficoltà ad accettare la morte come fatto naturale;
  • Apatia e distacco da cose e persone;
  • Profonda amarezza e rabbia legate alla perdita;
  • Perdita di senso, sensazione che la vita sia priva di scopo;
  • Agitazione, irritabilità;
  • Perdita di interesse e fiducia negli altri;
  • Incapacità di trarre piacere dalle situazioni e di ripensare ai momenti vissuti con la persona cara in una luce positiva.

Un disturbo da lutto complicato persistente non riconosciuto e non trattato in modo adeguato può portare allo sviluppo di una serie di problematiche mediche, psicologiche e sociali collaterali anche molto serie, determinando un generale significativo deterioramento del benessere personale e della qualità di vita. Le principali complicanze comprendono:

  • Disturbi depressivi;
  • Disturbi d'ansia
  • Pensieri suicidari e atti anticonservativi;
  • Maggior propensione allo sviluppo di malattie organiche (in particolare, di natura cardiovascolare, infiammatoria/immunitaria, gastroenterica, tumorale ecc.) e maggior tendenza a soffrire di sindromi dolorose;
  • Disturbi del sonno;
  • Difficoltà a svolgere le attività quotidiane abituali, a mantenere relazioni interpersonali e a essere efficienti sul lavoro;
  • Disturbo da stress post-traumatico;
  • Disturbo da abuso di sostanze (droghe o farmaci psicoattivi) o alcolici;
  • Abuso di nicotina.

Se dopo 2-3 mesi dalla perdita di una persona cara ci si trova in uno stato di profonda sofferenza che non accenna a migliorare è importante parlarne con uno psicologo per ottenere un supporto specialistico mirato. In particolare, lo psicologo va contattato se sono presenti:

  • Difficoltà nel riprendere le attività quotidiane abituali;
  • Ritiro sociale e tendenza a evitare l'interazione con familiari e amici;
  • Notevole tristezza durante gran parte della giornata o vera e propria depressione;
  • Profondi sensi di colpa o istinti autolesionisti (fino all'ideazione suicidaria);
  • Convinzione di non aver fatto abbastanza per evitare la morte della persona cara;
  • Perdita di senso, sensazione che la vita sia priva di scopo;
  • Idea che la vita non sia degna di essere vissuta senza la persona venuta meno;
  • Desiderio di essere morti insieme alla persona cara.

Oltre che dal diretto interessato da lutto patologico, la persistenza di questi sintomi devono essere tenuti nella massima considerazione da parenti e amici, che, in caso di riscontro positivo, devono invitare con sensibilità e delicatezza a ricercare un aiuto competente. Ciò è particolarmente importante quando i sintomi depressivi sono significativi e associati all'idea di non riuscire a vivere senza la persona deceduta e/o a pensieri di morte/suicidio.

Posto che dopo un lutto un certo grado di sofferenza è per tutti inevitabile, esistono alcuni atteggiamenti psicologici che possono contribuire a vivere l'esperienza con minori difficoltà. Un concetto apparentemente banale, ma cruciale per supportare il recupero è che la vita continua e chi resta ha non soltanto il diritto, ma anche il dovere, di ricominciare a vivere il più serenamente possibile al più presto, senza sentirsi in colpa per questo né per ciò che non si è stati in grado di dire o fare in passato per chi è venuto meno.

Un errore che capita a molti, soprattutto se la morte del familiare è avvenuta in un clima poco sereno, dopo un periodo di tensioni non risolte, o se si ritiene per qualche ragione di "non aver fatto abbastanza" quando ce n'era ancora la possibilità, è quello di sentirsi "in obbligo" di stare male, rinunciando in modo più o meno consapevole a tutte le attività che potrebbero aiutare a sentirsi meglio e a ritornare alla vita di sempre. Non c'è niente di più sbagliato, perché il passato, nel bene e nel male, non cambia e imporsi una sofferenza evitabile non aiuta nessuno. Al contrario, se, dopo un primo momento di stordimento, si percepisce il desiderio di riprendere in mano la propria vita, di dedicarsi ad attività piacevoli o di interagire socialmente lo si deve accogliere, coltivare e soddisfare.

D'altro canto, se nei primi mesi il dolore è molto profondo, non ci si deve neppure sentire in obbligo di essere "stoici per forza", di mostrarsi sereni quando dentro si hanno nuvole dense. Si deve, molto semplicemente, vivere la propria sofferenza, senza drammatizzarla, ma cercando di capirla e sfruttarla come un momento di crescita, di evoluzione personale, che può anche renderci migliori. Le persone care che sono accanto possono essere una risorsa preziosa per rinnovare la motivazione ad andare avanti nonostante la perdita.

Concentrarsi sugli affetti e sulle relazioni sociali positive, creando attivamente occasioni di incontro con parenti e amici con cui fa piacere chiacchierare, pranzare, passeggiare, trascorrere del tempo è dunque assolutamente consigliabile. Così come è consigliabile evitare tutte le situazioni obbligate: se non si ha alcuna voglia di andare a una cena o a una festa o ci si sente a disagio in compagnia di determinate persone, è del tutto legittimo declinare l'invito senza preoccuparsi di che cosa potranno pensare gli altri.

Ogni attività potenzialmente in grado di suscitare interesse o procurare piacere va incentivata, compreso il lavoro. Soprattutto se è sempre stata una fonte di stimoli positivi e mette in contatto con colleghi gradevoli e sensibili, riprendere l'attività lavorativa può essere una vera e propria ancora di salvezza, perché non c'è niente di meglio che riprendere la vita di tutti i giorni e vedere che tutto prosegue lungo gli assetti consolidati per capire che le cose possono ritrovare un loro ordine e una loro ragion d'essere.

Un altro errore da evitare è ignorare, o peggio inibire, i segnali di ripresa emotiva. Ricominciare a provare piacere in quel che si fa o amore per le persone nuove che si incontrano non è ingiusto nei confronti di chi non c'è più, né è il segno di averlo amato poco o di amarlo di meno. Di questo bisogna essere profondamente consapevoli e coltivare ogni minima emozione positiva come un dono di cui sarebbe ingiusto privarsi.

Oltre a questi consigli specifici, è importante cercare di riposare a sufficienza, di nutrirsi in modo sano ed equilibrato e di praticare attività fisica, preferibilmente all'aperto perché supportare il benessere fisico rende più forti anche sul piano psichico. Lo sport è un grande alleato per scaricare la tensione e le emozioni negative e può concretamente aiutare a recuperare più in fretta un buon equilibrio psicoemotivo. Se non si è abituati a praticarlo e non si ha voglia di iniziare in un momento difficile, è sufficiente passeggiare almeno un'ora al giorno, possibilmente in un parco o in un'area verde facilmente accessibile, per sfruttare anche il potere calmante e il senso di continuità e rinnovamento insito nella natura.

Per affrontare il disturbo da lutto complicato e persistente, ma anche per prevenirlo qualora ci si renda conto che il disagio che si sta vivendo a causa della perdita di una persona cara è francamente eccessivo, è spesso sufficiente intraprendere un percorso psicoterapico mirato di alcuni mesi, affidandosi a uno psicologo esperto di terapia del lutto.

In genere, l'approccio psicoterapico al lutto prevede interventi focalizzati sull'analisi delle difficoltà soggettive incontrate dalla persona sofferente, contestualizzati nella situazione familiare e sociale specifica.

 

G.Massimo Barrale - Psicologo Psicoterapeuta - Palermo

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