Articoli e riflessioni

Il Codice Deontologico Degli Psicologi commentato - Parte II

Capo II – Rapporti con l’utenza e con la committenza

Articolo 22 Lo psicologo adotta condotte non lesive per le persone di cui si occupa professionalmente, e non utilizza il proprio ruolo ed i propri strumenti professionali per assicurare a sè o ad altri indebiti vantaggi. (L’espressione “lo psicologo adotta condotte non lesive” sottolinea che, a differenza delle norme penali e civili che focalizzano l’attenzione sulla persona e i suoi diritti, le norme deontologiche centrano l’attenzione sul professionista, su qualità e correttezza della sua prestazione, anche a prescindere dal fatto che ci sia stata o non ci sia stata la lesione. Lo psicologo ha il dovere di interpretare correttamente il proprio ruolo professionale e di applicare metodologie e strumenti in coerenza con modelli teorici riconoscibili ed accreditati scientificamente. A questo concetto si lega la seconda parte dell’articolo, che configura come infrazione deontologica il non corretto uso del ruolo e degli strumenti professionali, ossia ciò che in termini legali è definito come abuso. Il riferimento all’abuso è legato allo squilibrio esistente tra il professionista ed il destinatario delle sue prestazioni. Il livello di conoscenza, l’uso di strumenti professionali di competenza esclusiva, il valore legale delle valutazioni del professionista sulla condizione personale del soggetto, descrivono bene l’asimmetricità della relazione. Utilizzare tale asimmetricità al di fuori degli ambiti e delle finalità previsti, costituisce un abuso.)

Articolo 23 Lo psicologo pattuisce nella fase iniziale del rapporto quanto attiene al compenso professionale. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera. In ambito clinico tale compenso non può essere condizionato all’esito o ai risultati dell’intervento professionale. (l’articolo regola alcuni aspetti dell’instaurarsi del rapporto professionale fra lo psicologo ed il cliente, aspetti che qui riguardano l’ambito economico. La norma ha lo scopo di affermare come, sin dall’inizio, tale rapporto debba svilupparsi in un clima di chiarezza e di trasparenza, sia per quanto riguarda l’aspetto quantitativo del compenso, sia per ciò che attiene alle modalità con le quali va commisurato il compenso medesimo.)

Articolo 24 Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata. (In sintesi lo psicologo deve informare circa:

  • le modalità della prestazione
  • le finalità della prestazione
  • il proprio ruolo e la propria competenza
  • i rischi e i disagi che l’utente/paziente può subire durante la prestazione
  • i benefici che si possono ottenere
  • con buona approssimazione i tempi, la durata e i costi della prestazione
  • le alternative al trattamento presentato e le loro caratteristiche
  • la possibilità che l’utente/paziente possa chiedere chiarimenti circa la prestazione in qualsiasi momento
  • la possibilità di revocare il consenso in qualsiasi momento
  • la necessità del suo consenso per registrazioni audio o video altrimenti il terapeuta prenderà solo appunti scritti
  • il diritto dell’utente/paziente di interrompere la prestazione in qualsiasi momento
  • le caratteristiche del segreto professionale e della riservatezza di cui lo psicologo è tenuto
  • i limiti al segreto nell’ipotesi in cui: il rapporto professionale nasca per decisione di terzi che abbiano il diritto di sapere; il paziente racconti o dimostri fatti commessi da altri che costituiscono reati procedibili d’ufficio; l’utente/paziente prefiguri comportamenti che possono ledere gravemente l’integrità psicofisica sua o di altri)

Articolo 25 Lo psicologo non usa impropriamente gli strumenti di diagnosi e di valutazione di cui dispone. Nel caso di interventi commissionati da terzi, informa i soggetti circa la natura del suo intervento professionale e non utilizza, se non nei limiti del mandato ricevuto, le notizie apprese che possano recare ad essi pregiudizio. Nella comunicazione dei risultati dei propri interventi diagnostici e valutativi, lo psicologo è tenuto a regolare tale comunicazione anche in relazione alla tutela psicologica dei soggetti. (Questo articolo è interamente dedicato all’ambito della diagnosi e della valutazione psicologica e si pone l’obiettivo di definire i vincoli deontologici, incrociando la tematica attraverso quattro assi di analisi:

  • l’uso delle competenze professionali
  • i riferimenti per lo sviluppo della relazione professionale quando questa non è “semplicemente” diadica
  • il diritto – dovere ad informare
  • la tutela psicologica dei soggetti

Per uso improprio di strumenti psicologici occorre avere un doppio riferimento rispetto a:

  1. uso degli strumenti di diagnosi e valutazione dal punto di vista tecnico
  2. uso improprio degli strumenti di diagnosi e valutazione dal punto di vista della relazione col soggetto

Il secondo comma entra nel merito delle situazioni in cui utente e committente non corrispondono. Questo secondo comma affronta il problema dell’etica nella relazione professionale, all’interno di rapporti triadici dove possono divergere finalità e interessi fra utenti e committenti. Il codice deontologico riprende più volte questa tematica rimarcando comunque la necessità di salvaguardare la tutela psicologica del soggetto e la corretta informazione delle parti circa i ruoli e i vincoli che il professionista assume nei confronti di entrambe. In questo quadro rientra anche la problematica della restituzione dell’esito dell’intervento. All’interno di un contratto chiaro lo psicologo non solo può, ma anche deve restituire la propria valutazione in relazione al mandato ricevuto e deve escludere ciò che, risultando ad esso estraneo, può avere improprie ricadute sul soggetto. Il terzo comma esplicita il principio per il quale le comunicazioni di interventi diagnostici e valutativi non possono avere come unico riferimento il mandato o il compito ricevuto, ma anche la tutela psicologica del soggetto di cui lo psicologo è chiamato a rispondere. Lo psicologo è chiamato a ricercare il difficile punto di equilibrio tra il corretto esercizio di un mandato valutativo o diagnostico, che spesso ha forti implicazioni per il soggetto, e la necessità di tutela psicologica dello stesso.)

Articolo 26 Lo psicologo si astiene dall’intraprendere o dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti personali, interferendo con l’efficacia delle sue prestazioni, le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte. Lo psicologo evita, inoltre, di assumere ruoli professionali e di compiere interventi nei confronti dell’utenza, anche su richiesta dell’Autorità Giudiziaria, qualora la natura di precedenti rapporti possa comprometterne la credibilità e l’efficacia. (Questo articolo affronta la più importante questione deontologica della nostra professione che non a caso ha avuto bisogno di essere trattata in molti articoli del codice. Si può dire che riguarda il più significativo specifico professionale dello psicologo: una relazione professionale complessa e delicata, perché implicante anche zone personali ed interpersonali dalla difficile, spesso improbabile, sondabilità. Questa relazione, infatti, nonostante sia, dal punto di vista tecnico – professionale, un codificato rapporto dottore – paziente, contestualmente va a descriversi anche come una dinamica interpersonale tra il soggetto psicologo ed il soggetto paziente. Tale dinamica è sempre tenuta in conto ed in alcuni contesti psicoterapici ne sono normalmente ipotizzate e codificate le ricadute sui percorsi clinici. Proprio perché lo psicologo riconosce l’importanza ed il “peso” di tali dinamiche ed implicazioni, è chiamato ad allertare la propria vigilanza sul rischio che le ricadute sopra citate possano essere antieconomiche, quando problemi o conflitti personali, non consentendo il governo appropriato della dinamica interpersonale, interferiscano con l’efficacia delle sue prestazioni e le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte. Questo è solo uno dei tanti esempi in cui si può presentare tale problema. Lo psicologo dovrebbe quanto più possibile salvaguardare la propria attività professionale dal “preesistente” potenzialmente contaminante, sia esso un problema o conflitto personale, o un precedente rapporto; altrimenti tale attività rischia la propria credibilità e la propria efficacia.)

Articolo 27 Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi. (Il codice deontologico con questo articolo si pone in modo complementare al codice civile, prevedendo che l’interruzione del rapporto terapeutico, ferma la libertà del paziente di porvi fine in qualsiasi momento e senza dover addurre alcuna giustificazione, debba avvenire, su proposta del terapeuta, quando quest’ultimo constati che la cura non reca alcun beneficio al paziente, e non è prevedibile che neppure il protrarsi della terapia possa condurre a risultati positivi. Ne discende che, limitatamente all’ambito psicoterapeutico, sussiste per lo psicologo un obbligo deontologico di non decidere unilateralmente l’interruzione del rapporto, bensì di proporre, e cioè di prendere in considerazione e di discutere con il paziente l’ipotesi di porre fine al trattamento, ove di questo si constati l’inutilità anche in una prospettiva futura. La correttezza professionale impone che non si protragga il rapporto psicoterapeutico quando tale prosecuzione sia di giovamento soltanto al professionista, giovamento che può essere di qualsiasi natura, economica, ma anche di studio e di ricerca scientifica. Inoltre lo psicoterapeuta ha l’obbligo di fornire al paziente ogni utile informazione perché il paziente stesso possa trovare altre vie terapeutiche.)

Articolo 28 Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l’attività professionale o comunque arrecare nocumento all’immagine sociale della professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale. Allo psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito. Lo psicologo non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti di colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale. (invita il professionista psicologo ad evitare commistioni tra il ruolo professionale e vita privata. Nel secondo comma si impedisce l’attività diagnostica/terapeutica nei confronti di persone con cui lo psicologo ha o abbia avuto relazioni significative dei natura personale, in particolare di natura affettiva o sentimentale e/o sessuale. Tale attività è vietata anche nel caso che si instauri nel corso del rapporto professionale, e che, quindi, segua l’inizio della prestazione. Questa è considerata violazione “grave”. L’articolo è specifico per l’attività terapeutica, di sostegno psicologico e di interventi diagnostici. La ragione di questi divieti è rappresentata dal fatto che da un lato la sua prestazione può essere inquinata dalla familiarità, dalla scarsa obiettività, dalla mancanza di distacco e dalla tentazione di tutelare interessi emotivi, sentimentali e sessuali propri. Dall’altra perché le persone che ne ricevono la prestazione possono avere nocumento dalla confusione di ruoli.)

Articolo 29 Lo psicologo può subordinare il proprio intervento alla condizione che il paziente si serva di determinati presidi, istituti o luoghi di cura soltanto per fondati motivi di natura scientifico-professionale. (l’articolo sanziona quella gravissima deroga deontologica, costituita da forme di “comparaggio” economico tra psicologi e presidi, istituti o luoghi di cura. Ovvero non si deve subordinare la propria prestazione al fatto che il paziente/cliente usufruisca di una certa struttura a cui siamo collegati. Naturalmente lo psicologo dipendente pubblico che subordina il proprio intervento a che si svolga in ambito istituzionale non infrange il dettato di questo articolo.)

Articolo 30 Nell’esercizio della sua professione allo psicologo è vietata qualsiasi forma di compenso che non costituisca il corrispettivo di prestazioni professionali.

Articolo 31 Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela. Lo psicologo che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario l’intervento professionale nonché l’assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l’Autorità Tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale. Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente preposte.

Articolo 32 Quando lo psicologo acconsente a fornire una prestazione professionale su richiesta di un committente diverso dal destinatario della prestazione stessa, è tenuto a chiarire con le parti in causa la natura e le finalità dell’intervento. (questo articolo mira a determinare corrette ed equilibrate condizioni di partenza tra le parti in causa, qualora committente ed utente non coincidono. Molto spesso in questi casi si può riscontrare una tendenza di ciascuna delle parti ad un prevalere manipolatorio nei confronti dell’altra, anche se in buona fede. La norma posta in quest’articolo attiene all’obbligo da parte dello psicologo di informare adeguatamente il destinatario del suo intervento intorno all’intervento stesso. Deve informarlo anche se l’intervento è stato commissionato da altri, ed anche quando l’interesse del committente può essere quello di tenere il destinatario all’oscuro circa la natura e le finalità dell’intervento. Lo scopo è quello di tutelare l’utenza rispetto al rischio che la scienza psicologica possa essere utilizzata ai fini di un occulto controllo o di una occulta manipolazione dei destinatari dell’intervento psicologico.

 

Articolo tratto da : Il nuovo codice deontologico degli psicologi. Commentato articolo per articolo con decisioni ordinistiche e giurisprudenza ordinaria, di Guglielmo Gulotta, Eugenio Calvi, Elena Leardini – Giuffrè Editore (2018)

 

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G.Massimo Barrale - Psicologo Psicoterapeuta - Palermo

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