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I meccanismi di difesa sono delle particolari funzioni che hanno come scopo quello di proteggerci dal provare sentimenti ritenuti intollerabili.

In un articolo precedente ho illustrato i meccanismi di difesa primari, quelle difese che implicano il confine tra il mondo esterno e il Sé. In questo articolo presenterò i meccanismi di difesa secondari, di ordine superiore, che hanno a che vedere con i confini interni tra la parte di noi che vive l’esperienza e quella capace di osservare. Mentre le difese primitive operano in modo globale fondendo dimensioni cognitive, affettive e comportamentali, le difese più evolute operano trasformazioni specifiche del pensiero, del sentimento, della sensazione, del comportamento, o di una loro qualche combinazione. Come già sottolineato nel precedente articolo, tutti noi utilizziamo i meccanismi di difesa, sia primari che secondari. I problemi sorgono quando utilizziamo solo e sempre uno o due meccanismi di difesa a prescindere dalla situazione che ci si presenta.

  • La rimozione: l’essenza della rimozione è un dimenticare o ignorare motivato. Freud, a proposito della rimozione, scriveva che: “la sua essenza consiste semplicemente nell’espellere e nel tener lontano qualcosa dalla coscienza”. Questo processo è applicabile a un’esperienza nella sua globalità, alle emozioni ad essa connesse, o alle fantasie e desideri che vi sono associati. La rimozione ha una natura fondamentalmente adattiva. Se fossimo costantemente coscienti di tutta la gamma dei nostri impulsi, sentimenti, ricordi, immagini e conflitti, saremmo cronicamente sopraffatti. Come le altre difese inconsce la rimozione diventa problematica solo nei casi in cui: a) fallisce nella sua funzione, b) elimina alcuni aspetti positivi della vita, c) agisce ad esclusione di altri modi più efficaci. Un ricorso eccessivo alla rimozione, unitamente ad altri processi difensivi che spesso coesistono con essa, viene generalmente considerato il segno distintivo della personalità isterica.
  • La regressione: è un meccanismo di difesa relativamente semplice, noto a ogni genitore che abbia osservato un bambino ricadere in comportamenti propri di uno stadio evolutivo precedente quando è stanco o affamato. C’è una tendenza naturale degli esseri umani ad aggrapparsi a ciò che è loro familiare dopo aver raggiunto qualche nuovo livello di competenza. Perché sia qualificabile come meccanismo di difesa questo processo deve essere inconscio. Alcune persone usano la difesa della regressione più di altre. Ad esempio, alcuni di noi reagiscono alle tensioni della crescita e del cambiamento ammalandosi, oppure si mettono a letto perche stanno male pur non avendo una malattia diagnosticabile. Questo processo non è mai cosciente e può provocare angoscia sia alla persona regredita sia a coloro che le stanno intorno. Questa variante della regressione è nota come somatizzazione. Alcune persone ipocondriache usano la regressione al ruolo di malato come mezzo primario per affrontare gli aspetti problematici della loro vita. Quando la regressione costituisce la strategia centrale dell’individuo verso le sfide dell’esistenza, possiamo parlare di una personalità infantile.
  • L’isolamento: un modo in cui le persone possono gestire l’angoscia e altri stati mentali dolorosi consiste nell’isolare il sentimento dalla conoscenza. L’isolamento delle emozioni può avere un grande valore: i chirurghi non potrebbero lavorare efficacemente se fossero costantemente sintonizzati sulla sofferenza fisica dei pazienti o sulla propria reazione di disagio, repulsione o sadismo, quando affondano il bisturi nella carne di qualcuno. Quando l’isolamento è la difesa primaria e il modello di vita riflette la sopravvalutazione del pensiero e la sottovalutazione del sentimento, la struttura del carattere è di tipo ossessivo.
  • L’intellettualizzazione: è il nome attribuito a una versione di ordine superiore dell’isolamento dell’affetto dall’intelletto. La persona che utilizza l’isolamento riferisce in genere di non provare sentimenti, mentre quella che intellettualizza parla dei sentimenti in una maniera che l’ascoltatore percepisce come anaffettiva. Sesso, umorismo, espressione artistica e altre forme adulte di gioco gratificante rischiano di essere eliminate nella persona che ha imparato a dipendere dall’intellettualizzazione per affrontare la vita.
  • La razionalizzazione: questa difesa è talmente familiare da non aver quasi bisogno di spiegazioni. La razionalizzazione entra in gioco sia quando non riusciamo a ottenere qualcosa che vogliamo e retrospettivamente concludiamo che non era poi così desiderabile (come nella favola di Esopo della volpe e l’uva), sia quando accade qualcosa di spiacevole e decidiamo che, in fin dei conti, non era poi così grave. Quanto più una persona è intelligente e creativa, tanto più è probabile che sia abile nelle razionalizzazioni. La difesa agisce in modo benigno quando consente di svolgere al meglio una situazione difficile con il minimo danno, ma il suo inconveniente come strategia difensiva è che praticamente ogni cosa può essere razionalizzata. Le persone raramente ammettono di fare qualcosa solo per il piacere di farlo; preferiscono circondare le proprie decisioni con tutta una serie di buone ragioni: un esempio classico è il genitore che picchia il bambino e razionalizza la propria aggressività affermando che era “per il suo bene”.
  • La moralizzazione: è una parente prossima della razionalizzazione. Quando una persona razionalizza, cerca inconsciamente delle basi cognitivamente accettabili per la direzione ha preso; quando moralizza, cerca di pensare che sia doveroso seguire quella linea. Potremmo fare infiniti esempi storici di casi in cui questa difesa ha fatto leva sulle masse portando a capitoli tragici della nostra storia: i colonizzatori erano convinti di portare standard di civiltà più elevati nei popoli di cui saccheggiavano le risorse, Hitler riuscì a persuadere un numero sbalorditivo di seguaci che lo sterminio degli ebrei era necessario per il miglioramento etico della razza umana, e l’inquisizione spagnola è un altro movimento sociale di cui oggi ben si conosce la moralizzazione dell’aggressività, della cupidigia e dei desideri di onnipotenza.
  • La compartimentalizzazione: è un’altra delle difese intellettuali. La sua funzione è permettere a due condizioni in conflitto di esistere senza creare confusione, sensi di colpa, vergogna o angoscia sul piano cosciente. Quando questa difesa è all’opera, l’individuo abbraccia due o più idee, atteggiamenti o comportamenti che sono essenzialmente e per definizione in conflitto, senza coglierne la contraddizione. Per un osservatore non orientato psicologicamente, la compartimentalizzazione è indistinguibile dall’ipocrisia. Sul versante normale possiamo trovare, ad esempio, quelle persone che criticano i pregiudizi ma si divertono con battute razziste. All’estremità più patologica si trovano persone che sono molto umanitarie nella sfera pubblica e che, invece, nel privato delle proprie case difendono la violenza sui figli. Solitamente, messa davanti al proprio comportamento ambiguo, la persona che usa la compartimentalizzazione eliminerà le contraddizioni ricorrendo all’uso della razionalizzazione.
  • L’annullamento: lo sforzo inconscio di controbilanciare un affetto, solitamente un senso di colpa o la vergogna, con un atteggiamento o comportamento che magicamente lo cancelli (esempio: il marito che torna a casa con un regalo per la moglie per compensare lo scatto di nervi avuto la sera precedente). Quando l’annullamento è la difesa principale nel repertorio dell’individuo, e quando atti che hanno il significato inconscio di espiazione di crimini passati compromettono il principale sostegno dell’autostima, riteniamo che si tratti di personalità compulsiva.
  • Lo spostamento: il termine si riferisce al fatto che una pulsione, emozione, preoccupazione o comportamento venga diretto dal suo oggetto iniziale o naturale verso un altro, poiché la direzione originaria per qualche ragione provoca ansia. La classica vignetta dell’uomo strapazzato dal principale, che torna a casa e inveisce contro la moglie, che a sua volta sgrida i ragazzi che prendono a calci il cane, è un vero e proprio studio sullo spostamento. L’angoscia può essere spostata, e quando una persona sposta la propria angoscia da qualche area a un oggetto specifico che simbolizza il fenomeno temuto, diciamo che ha una fobia. Se una persona ha tutta una serie di preoccupazioni e paure spostate su svariati aspetti della propria vita, diciamo che ha un carattere fobico.
  • La formazione reattiva: l’organismo umano è capace di trasformare qualcosa nel suo polo opposto per renderlo meno minaccioso. La definizione tradizionale di formazione reattiva implica questa conversione di un affetto negativo in positivo o viceversa. La trasformazione, per esempio, dell’odio in amore, del desiderio in disprezzo o dell’invidia in attrazione, è facilmente riconoscibile in molte interazioni comuni. Un esempio comune è il caso di quei bambini di tre o quattro anni che, soppiantati da un fratellino più piccolo, gestiscono la propria rabbia e gelosia inconsce trasformandole in un sentimento conscio di amore verso il neonato. Ma è tipico di questa difesa che qualcosa del sentimento ripudiato penetri nella difesa al punto che chi osserva percepisce che c’è qualcosa di falso o di eccessivo. Quindi la bambina dell’esempio abbraccerà il fratellino troppo forte, o gli canterà delle canzoncine a voce troppo alta, o ancora lo dondolerà troppo aggressivamente.
  • L’identificazione: gli analisti usano questo termine per indicare l’operazione deliberata, a un livello maturo, anche se ancora parzialmente inconscia, di diventare come un’altra persona. L’identificazione è un processo essenzialmente neutrale; può avere effetti positivi o negativi a seconda di chi sia l’oggetto dell’identificazione. Il desiderio degli adolescenti di trovare eroi da poter emulare, nel tentativo di affrontare le richieste complesse della vita adulta cui si stanno appena affacciando, è noto da secoli. La capacità degli esseri umani di identificarsi con nuovi oggetti d’amore è probabilmente il veicolo principale attraverso cui le persone guariscono dalla sofferenza emotiva, ed è anche lo strumento primario con cui qualsiasi tipo di psicoterapia ottiene il cambiamento.

 

G.Massimo Barrale - Psicologo Psicoterapeuta - Palermo

Pubblicato in Blog

I meccanismi di difesa sono delle particolari funzioni che hanno come scopo quello di proteggerci dal provare sentimenti ritenuti intollerabili.
Le principali categorie diagnostiche utilizzate dagli psicoterapeuti ad orientamento dinamico per definire i tipi di personalità si riferiscono implicitamente all’azione persistente nell’individuo di una difesa o costellazione di difese. Un’etichetta diagnostica è dunque una sorta di abbreviazione che indica il modello difensivo abituale di una persona.
Quelle che negli adulti maturi finiamo col chiamare difese si strutturano inizialmente come modi globali, inevitabili, sani e del tutto adattivi di percepire il mondo. Freud fu il primo a osservare e definire tali processi e la scelta del termine “difesa” riflette almeno due aspetti del suo pensiero. In primo luogo Freud era appassionato di metafore militari. In secondo luogo quando si imbatté per la prima volta negli esempi più vistosi e memorabili di quelle che oggi chiamiamo difese, osservò l’attività di questi processi nella loro funzione difensiva. Le persone facevano di tutto per evitare di rivivere quello che temevano sarebbe stato un dolore insopportabile.
Sfortunatamente l’idea che le difese fossero in qualche modo qualcosa di negativo, per natura disadattive, si diffuse tra il pubblico profano al punto che definire qualcuno “difensivo” è universalmente inteso come una critica.
In realtà i fenomeni a cui ci riferiamo come difese hanno molte funzioni positive. Si manifestano come adattamenti sani e creativi e continuano a operare in senso adattivo per tutta la vita. La persona che si comporta in modo difensivo in genere cerca inconsciamente di ottenere uno o entrambi i seguenti obiettivi:
1) evitare o comunque gestire qualche sentimento intenso e minaccioso, di solito l’ansia e l’angoscia;
2) mantenere l’autostima.

Tutti noi abbiamo alcune difese preferenziali che sono diventate parte integrante del nostro stile individuale di confronto con le dimensioni problematiche. Questo ricorso preferenziale e automatico a una particolare difesa o serie di difese è il risultato di un’interazione complessa tra almeno quattro fattori:
1) il temperamento costituzionale;
2) la natura dei disagi subiti nella prima infanzia;
3) le difese presentate dai genitori o da altre figure significative;
4) le conseguenze sperimentate dell’uso di particolari difese.

Convenzionalmente gli autori psicoanalitici tendono a distinguere tra difese primarie e secondarie. Le difese primarie, o primitive, sono quelle che implicano il confine tra il mondo esterno e il Sé, mentre le difese più evolute, quelle definite secondarie, di ordine superiore, hanno a che vedere con i confini interni tra la parte di noi che vive l’esperienza e quella capace di osservare. Tutti noi utilizziamo i meccanismi di difesa, sia primari che secondari. I problemi sorgono quando utilizziamo solo e sempre uno o due meccanismi di difesa a prescindere dalla situazione che ci si presenta.

Di seguito illustrerò i processi difensivi primari. Ci si renderà presto conto che le difese primitive sono semplicemente i modi in cui noi riteniamo che il bambino piccolo percepisca naturalmente il mondo.

I processi difensivi primari sono:

  • Il ritiro primitivo: il bambino sovrastimolato o preda di forti tensioni spesso semplicemente si addormenta. Versioni adulte dello stesso processo sono osservabili in persone che si sottraggono a situazioni sociali o interpersonali, sostituendo lo stimolo del proprio mondo fantastico interiore alle tensioni della relazione con gli altri. Quando in una persona il ritiro diventa abituale e porta all’esclusione di altri modi di rispondere all’angoscia, gli analisti parlano di persona schizoide.
  • Il diniego: un altro modo precoce in cui il bambino affronta le esperienze spiacevoli è rifiutare che accadono. Il diniego continua ad operare automaticamente in ognuno di noi come prima reazione a qualunque avvenimento catastrofico. L’esempio più ovvio di psicopatologia definita dall’uso del diniego è la maniacalità. In uno stato maniacale le persone possono denegare in misura sorprendente le proprie limitazioni fisiche, la necessità di dormire, le emergenze finanziarie, le debolezze personali, persino la propria mortalità.
  • Il controllo onnipotente: per il neonato la fonte di tutti gli eventi è interna. La consapevolezza dell’esistenza di un centro di controllo in altri separati, esterni al Sé, non si è ancora sviluppata. Alcuni residui sani del senso di onnipotenza infantile rimangono in tutti noi e contribuiscono a farci sentire competenti ed efficaci nella vita. Alcune persone però hanno un bisogno irresistibile di provare un senso di controllo onnipotente e di interpretare le esperienze come frutto del proprio illimitato potere. Se la personalità di un individuo è organizzata intorno alla ricerca di questa gratificante sensazione di esercitare la propria onnipotenza, mentre ogni altra preoccupazione pratica ed etica ha un’importanza solo secondaria, si può parlare di personalità psicopatica.
  • L’idealizzazione e la svalutazione: conosciamo tutti l’intensità con cui un bambino piccolo ha bisogno di credere che i genitori siano in grado di proteggerlo da tutti i pericoli della vita. Un modo in cui i più piccoli si proteggono da paure soverchianti è credere nella sorveglianza di un’autorità benevola e onnipotente. Tutti noi usiamo l’idealizzazione, ma in certe persone il bisogno di idealizzare rimane immodificato dall’infanzia. Quando una persona sembra vivere la propria vita cercando di classificare ogni aspetto della condizione umana secondo il suo valore rispetto ad alternative meno favorevoli e sembra motivata dalla ricerca della perfezione, sia attraverso la fusione con oggetti idealizzati sia sforzandosi di perfezionare se stessa, si ritiene che si tratti di una persona narcisista. La svalutazione non è altro che l’inevitabile opposto del bisogno di idealizzare. Dato che nella natura umana non c’è nulla di perfetto, le modalità arcaiche di idealizzazione sono condannate alla delusione. Quanto più un oggetto è idealizzato, tanto più radicare sarà la svalutazione cui andrà incontro.
  • La proiezione e l’introiezione: rappresentano i lati opposti della stessa moneta. La proiezione è quel processo per cui qualcosa di interno viene considerato proveniente dall’esterno. Nella sua forma sana è la base dell’empatia. Nelle sue forme sfavorevoli invece la proiezione provoca numerosi fraintendimenti e immensi danni interpersonali. Quando gli atteggiamenti proiettati distorcono gravemente il loro bersaglio o quando ciò che viene proiettato consiste in parti altamente negative di sé stessi, insorgono moltissime difficoltà. Quando una persona usa la proiezione come modalità principale di comprendere il mondo e affrontare la vita, possiamo dire che ha un carattere paranoide. L’introiezione è il processo per cui si considera proveniente dall’interno qualcosa che in realtà è esterno. Nelle sue forme problematiche l’introiezione è un processo molto distruttivo che sta alla base del lutto e della depressione. Quando amiamo o siamo profondamente attaccati a delle persone, noi le introiettiamo e le loro rappresentazioni dentro di noi diventano parte della nostra identità. Se perdiamo una delle persone di cui abbiamo interiorizzato l’immagine, non soltanto percepiamo un impoverimento del nostro ambiente per l’assenza di quella persona nella nostra vita, ma sentiamo che anche noi siamo in qualche modo sminuiti, che una parte del nostro Sé è morta. La fusione di processi di proiezione e di introiezione viene chiamata identificazione proiettiva.
  • La scissione dell’Io: nei bambini di 2 anni possiamo osservare un bisogno di organizzare le percezioni assegnando valenze buone e cattive a tutto ciò che appartiene al loro mondo. Nella vita adulta di tutti i giorni, la scissione rimante una modalità potente e affascinante per spiegarsi esperienze complesse, specialmente quando sono ambigue e minacciose. La pericolosità di tale processo sta nel fatto che implica sempre una distorsione della realtà. La scissione è evidente quando un individuo esprime un atteggiamento non ambivalente e considera del tutto irrilevante il lato opposto.

 

G.Massimo Barrale - Psicologo Psicoterapeuta - Palermo

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