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Adolescenti e riti di passaggio

Lavoro come psicologo e come psicoterapeuta a Palermo da molto tempo ormai, e questo mi da la fortuna di poter avere un vertice di osservazione particolare su certi fenomeni peculiari della nostra società. Sin dai tempi della tesi universitaria e del tirocinio post laurea mi sono occupato di adolescenti e post adolescenti, delle loro ansie, dei loro blocchi, dei loro attacchi di panico, delle loro difficoltà e delle loro paure. In questo articolo vorrei parlare di come i cosiddetti “riti di passaggio”, quei momenti, sanciti dalle società, che segnano appunto il passaggio da una condizione ad un’altra, in questo caso dalla condizione di adolescenti all’essere adulti, siano diventati più fluidi, si siano modificati alcuni, o scomparsi del tutto altri.

Ogni società non solo stabilisce un metodo per calcolare l’età, ma attribuisce alle diverse fasi della vita significati differenti, che implicano anche determinati stereotipi relativi allo sviluppo intellettuale, morale e sociale. Ci si aspetta che le persone cambino il loro comportamento e assumano di volta in volta un ruolo considerato consono al periodo del’esistenza che stanno vivendo. Così è previsto che un bambino non sia ancora a conoscenza delle regole sociali, che compia errori, che sia libero di divertirsi e che debba apprendere dagli adulti. Mentre da un giovane adolescente ci si attende un certo grado di trasgressione, di conflitto con i genitori, ma anche un progressivo avvicinamento al comportamento sociale ritenuto corretto.

Nella società contemporanea , potremmo dire che è la scuola a determinare la scansione delle prime fasce d’età. In genere, terminate le scuole elementari, non si è più “bambini”.

In tutte le società è importante evidenziare le differenze tra giovani e adulti, perché l’adolescenza, che è lo stato di transizione tra la condizione di bambino e quella di adulto, una sorta di migrazione interna dalla dimensione tranquilla e protetta dell’infanzia, totalmente dipendente dalla famiglia, verso una situazione di autonomia decisionale ed economica, nella quale si aprono nuovi e più impegnativi orizzonti, è una fase molto difficile e delicata, in cui l’individuo inizia a costruire la propria identità personale.

Affinché questo accada, occorre che la comunità, in cui si vive e si cresce, ponga limiti, fissi punti fermi. Si tratta, infatti, di una fase di rapida trasformazione biologica, in cui l’individuo inizia a prendere coscienza di se stesso e del fatto che deve decidere per conto suo. Mentre il bambino piccolo riporta tutto a se stesso e si costruisce un mondo a parte, a scala ridotta rispetto a quello dei grandi, l’adolescente si crea un programma di vita suo e, pur sentendosi diverso, si pone su un piano di eguaglianza rispetto agli adulti. Di qui nascono la tipica irrequietezza e la tendenza alla ribellione che caratterizzano questa fase della vita chiamata adolescenza.

Proprio perché si tratta di un momento di costruzione dell’identità, e qualunque identità si fonda e si erige sulla differenza, è quanto mai necessario che la comunità da un lato stabilisca in modo chiaro il confine tra il mondo dei giovani e quello degli adulti, e dall’altro ne “protegga” il passaggio, collocando segnali, punti di riferimento ben visibili. Le differenze devono essere ben chiare per entrambe le parti: bisogna porre limiti evidenti, netti, distinguere ciò che è lecito e giusto fare in una condizione e ciò che lo è in un’altra, portare gli individui ad assumersi determinate responsabilità e allo stesso tempo riconoscere i propri diritti.

In altri termini, l’adolescenza è l’età in cui si entra a fare parte, da protagonisti autonomi e indipendenti, della società.

Gli adolescenti di oggi non possono neppure immaginare quanto sia cambiato, in pochi decenni, il ruolo del padre all’interno della famiglia. Un tale cambiamento ha molto a che fare con la minore necessità di codificare a che età e in base al superamento di quali prove sia possibile per gli adolescenti avere accesso a un diverso livello di autonomia. Il potere del padre è stato ridistribuito tra le varie figure della famiglia e ai figli ne è toccata una parte significativa.

L’evanescenza del padre, o la sua assenza, si misurano anche e soprattutto dal disinteresse nei confronti della celebrazione di momenti di confronto all’interno della famiglia. Poco cambia che si tratti di conquistare il diritto a esplorare buona parte della notte in compagnia dei coetanei, di presentare il partner e quindi la sessualità nascente, o di discutere del denaro e dei mezzi con cui spostarsi: se tali cambiamenti avessero un peso simbolico maggiore, potrebbero scandire la crescita e aiutare i ragazzi a capire meglio la propria collocazione nella piramide della famiglia e della società.

Nel contesto attuale sono stati differiti due riti di passaggio, due appuntamenti cruciali: il matrimonio e la procreazione. Un tempo, il rito del fidanzamento costituiva un’evoluzione rispetto alla condizione precedente, nella quale la coppia era ancora “in prova”, perché nulla era stato ancora concordato e ufficialmente progettato. Il fidanzamento determinava un cambiamento radicale di ruolo che doveva essere festeggiato ma pure ampiamente pubblicizzato, poiché tutti dovevano sapere che due persone stavano per diventare marito e moglie, e trarne le conseguenze.

I giovani di oggi hanno cancellato questa “prova preliminare” forse perché pensano al matrimonio molto più in là nel tempo, dopo aver risolto altri problemi, prevalentemente di natura sociale e personale, come la formazione professionale, l’inserimento nel mondo del lavoro, l’acquisizione di una competenza che consenta di accumulare reddito e stabilizzare le disponibilità economiche.

Ma a parte le problematiche di ordine economico, anche l’amore sembra non aver più le caratteristiche oniriche del sentimento romantico, caratterizzato dall’estrema sottomissione ai bisogni e desideri del compagno idealizzato, padrone dell’anima e del corpo, legittimato a chiedere qualsiasi sacrificio, qualsiasi dimostrazione di devozione e fedeltà alla coppia.

L’amore di oggi è contraddistinto da una domanda: la coppia o il partner aiutano a crescere e a realizzare l’individuo? Nel caso in cui la risposta sia affermativa, il patto diventa importante, la fedeltà viene garantita, e un notevole livello di reciprocità può essere generosamente erogato, attraverso processi di identificazione con le ragioni dell’altro. Il quale a sua volta, per sentirsi amato e continuare ad amare, ha bisogno di appurare che il partner sia in grado di capire e legittimare le sue esigenze evolutive. Nasce così un sentimento che ha gli aspetti formali, il galateo e lo statuto affettivo dell’amore narcisistico.

La coppia narcisistica così realizza una delle più diffuse aspirazioni adolescenziali: mangiare e dormire col partner e non con i genitori e i nonni. La coppia narcisistica convive, incontra il resto della compagnia, fa tutto insieme. Ma può succedere che gli impegni evolutivi portino i componenti a doversi assentare, per esempio per andare all’estero o per rispettare promesse fatte agli amici. Il “contratto” alla base di una relazione simile prevede che non vi siano sacrifici relativi alle attività e agli interessi individuali, i quali devono solo essere rispettati e legittimati ma anche, per così dire, amati, poiché rappresentano gli strumenti attraverso cui il partner realizza il proprio sogno e cerca se stesso.

Ecco i motivi per cui i momenti di passaggio sono diventati molto fluidi. Si avverte meno la necessità di ritualizzare e segmentare ciò che è stato liberato, in fondo da poco tempo, da progetti esterni al soggetto.

 

Massimo Barrale - Psicologo Psicoterapeuta - Palermo

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