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A partire dagli anni 2000, con l'avvento di Internet, si è andato delineando un altro fenomeno legato al bullismo, anche in questo caso diffuso soprattutto fra i giovani, il cyber-bullismo.

Rispetto al bullismo tradizionale nella vita reale, il cyberbullismo avviene su internet talvolta causando danni violenti. Vediamo le differenze principali tra i due fenomeni:

  • Anonimato del molestatore: in realtà, questo anonimato è illusorio, ogni comunicazione elettronica lascia pur sempre delle tracce. Per la vittima, però, è difficile risalire da sola al proprio molestatore; inoltre, a fronte dell'anonimato del cyberbullo, spiacevoli cose sul conto della vittima (spesse volte descritta in modo manifesto, altre in modo solo apparentemente non riconducibile alla sua identità) possono essere inoltrate a un ampio numero di persone.
  • Difficile reperibilità: se il cyberbullismo avviene via SMS, messaggistica istantanea o mail, o in un forum online privato, ad esempio, è più difficile reperirlo e rimediarvi.
  • Indebolimento delle remore etiche: le due caratteristiche precedenti, abbinate con la possibilità di essere "un'altra persona" online (a guisa di un gioco di ruolo), possono indebolire le remore etiche: spesso la gente fa e dice online cose che non farebbe o direbbe nella vita reale.
  • Assenza di limiti spazio - temporali: mentre il bullismo tradizionale avviene di solito in luoghi e momenti specifici (ad esempio in contesto scolastico), il cyberbullismo investe la vittima ogni volta che si collega al mezzo elettronico utilizzato dal cyberbullo (WhatsApp, Facebook, Twitter, blogs, ecc.)

Come nel bullismo tradizionale, però, il prevaricatore vuole prendere di mira chi è ritenuto "diverso", solitamente per aspetto estetico, timidezza, orientamento sessuale o politico, abbigliamento ritenuto non convenzionale e così via. Gli esiti di tali molestie sono, com'è possibile immaginarsi a fronte di tale stigma, l'erosione di qualsivoglia volontà di aggregazione e il conseguente isolamento, implicando esso a sua volta danni psicologici non indifferenti, come la depressione o, nei casi peggiori, ideazioni e intenzioni suicidarie. Spesso i molestatori, soprattutto se giovani, non si rendono effettivamente conto di quanto ciò possa nuocere all'altrui persona. Il fenomeno del cyberbullismo si può considerare strettamente correlato a quello dei cosiddetti "leoni da tastiera".

Esistono vari tipi di cyberbullismo:

  • Flaming: messaggi online violenti e volgari (i cosiddetti “Flame”)mirati a suscitare battaglie verbali in un forum.
  • Molestie (harassment): spedizione ripetuta di messaggi insultanti mirati a ferire qualcuno.
  • Denigrazione: sparlare di qualcuno per danneggiare gratuitamente e con cattiveria la sua reputazione, via e-mail, messaggistica istantanea, gruppi su social network, etc.
  • Sostituzione di persona ("impersonation"): farsi passare per un'altra persona per spedire messaggi o pubblicare testi reprensibili.
  • Inganno: (trickery); ottenere la fiducia di qualcuno con l'inganno per poi pubblicare o condividere con altri le informazioni confidate via mezzi elettronici.
  • Esclusione: escludere deliberatamente una persona da un gruppo online per provocare in essa un sentimento di emarginazione.
  • Cyberpersecuzione ("cyberstalking"): molestie e denigrazioni ripetute e minacciose mirate a incutere paura.
  • Doxing: diffusione pubblica via internet di dati personali e sensibili.
  • Minacce di morte

Da una recente ricerca, emerge che il 35% dei ragazzi intervistati è stato vittima di cyberbullismo, ma solo 1 su 2 ha avvisato i genitori (Telefono Azzurro e DoxaKids, 2017). Quando i ragazzi non ne parlano direttamente, per accorgersene lo strumento più importante è il rapporto che si è costruito con loro. Se è buono, è più probabile che siano loro a raccontare ad un adulto di fiducia cosa sta accadendo. Altrimenti ecco alcuni segnali: 

  • Cambiano improvvisamente il comportamento con gli amici, a scuola, o in altri luoghi dove socializzano.
  • Sono restii a frequentare luoghi o eventi che coinvolgono altre persone.
  • Evitano l’uso di computer, telefonini e altre tecnologie per comunicare con gli altri.
  • Sono particolarmente stressati ogni volta che si riceve un messaggio.
  • Mostrano scarsa autostima, depressione, disturbi alimentari o del sonno.

 

G.Massimo Barrale - Psicologo Psicoterapeuta - Palermo

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Il bullismo è una forma di comportamento sociale di tipo violento e intenzionale, di natura sia fisica che psicologica, oppressivo e vessatorio, ripetuto nel corso del tempo e attuato nei confronti di persone considerate dal soggetto che perpetra l'atto in questione come bersagli facili e/o incapaci di difendersi. L'accezione è principalmente utilizzata per riferirsi a fenomeni di violenza tipici degli ambienti scolastici e più in generale di contesti sociali riservati ai più giovani. Lo stesso comportamento, o comportamenti simili, in altri contesti, sono identificati con altri termini, come mobbing in ambito lavorativo o nonnismo nell'ambito delle forze armate.
Il bullismo, a differenza del vandalismo e del teppismo, si presenta come una forma di violenza antitetica a quelle rivolte contro le istituzioni e i loro simboli (docenti o strutture scolastiche): queste ultime sarebbero esogene, dove il bullismo è, invece, endogeno, inoltre è da sottolineare come quasi sempre, in particolare nei casi di ostracismo, l'intera classe di attendenti tende ad essere coinvolta nel bullismo, attivo o passivo, rivolto verso le vittime del gruppo, tramite meccanismi di consenso, più o meno consapevole, non solo nel timore di diventare nuove vittime dei bulli, o per mettersi in evidenza nei loro confronti, ma perché questi spesso riescono ad esprimere la cultura identitaria del gruppo, sia pur in negativo, attraverso la designazione della vittima quale capro espiatorio.
Generalmente, il ciclo può includere sia atti di aggressione sia atti di reazione a disposizione dell'eventuale vittima che sono interpretati come stimolanti da parte del bullo. Il ciclo si basa essenzialmente sulla capacità di avere sempre degli stimoli che possano motivare l'aggressore a porre in essere i propri propositi deviati, a volte reiterati nel lungo termine per mesi, anni o per tutta la vita. Allo stesso tempo il ciclo può essere subito interrotto al suo nascere, o durante la sua progressione, se viene a mancare o l'atto abusivo o la risposta della vittima.
Mentre il coinvolgimento sociale può sembrare complicato per comprendere l'attività bullistica, lo stimolo che più frequentemente è implicato nella riattivazione del ciclo è la sottomissione. Nel momento di percezione dello stimolo, l'istigatore tenta di ottenere un riconoscimento pubblico per ciò che andrà a compiere, come dire: «vedetemi e temetemi, sono così forte che ho il potere di incutere timore verso qualsiasi persona ed in qualsiasi momento senza pagare alcuna conseguenza per le mie azioni!».
Nel momento in cui la vittima dimostra di possedere delle tendenze passive o comunque che la inibiscono di reagire, allora il ciclo continuerà a riattivarsi. Nei casi in cui il ciclo non si è stabilito ancora, la vittima potrebbe rispondere in modo che qualsiasi tentativo da parte dell'aggressore non avrebbe alcun effetto. All'uopo, le istituzioni possono inibire o rafforzare il bullismo, ad es., colpevolizzando le vittime ed inducendole a risolvere da soli i propri problemi.

Il bullismo si basa su tre principi:

  • Intenzionalità.
  • Persistenza nel tempo.
  • Asimmetria nella relazione.

Vale a dire un'azione intenzionale eseguita al fine di arrecare danno alla vittima, continuata nei confronti di un particolare compagno, caratterizzata da uno squilibrio di potere tra chi compie l'azione e chi la subisce (ad esempio per la mancanza di una tecnica di autodifesa). Il bullismo, quindi, presuppone la condivisione del medesimo contesto deviante.
Esistono diversi tipi di bullismo, che si dividono principalmente in bullismo diretto e bullismo indiretto.

Il bullismo diretto è caratterizzato da una relazione diretta tra vittima e bullo e a sua volta può essere catalogato come:

  • bullismo fisico: il bullo colpisce la vittima con colpi, calci, spintoni, sputi o la molesta sessualmente;
  • bullismo verbale: il bullo prende in giro la vittima, dicendole frequentemente cose cattive e spiacevoli o chiamandola con nomi offensivi, sgradevoli o minacciandola, dicendo il più delle volte parolacce e scortesie;
  • bullismo psicologico: il bullo ignora o esclude la vittima completamente dal suo gruppo o mette in giro false voci sul suo conto;

Il bullismo indiretto è meno visibile di quello diretto, ma non meno pericoloso, e tende a danneggiare la vittima nelle sue relazioni con le altre persone, escludendola e isolandola per mezzo soprattutto del bullismo psicologico e quindi con pettegolezzi e calunnie sul suo conto.

Nelle azioni di bullismo vero e proprio si riscontrano quasi sempre i seguenti ruoli:

  • "bullo o istigatore": è colui che fa prepotenze ai compagni
  • "vittima": è colui che più spesso subisce le prepotenze
  • "complice": colui che, magari, ride all'azione del bullo, "alimentandolo".

Una prima distinzione è in base al sesso del bullo: i bulli maschi sono maggiormente inclini al bullismo diretto, mentre le femmine a quello indiretto. I maschi in particolare, tendono maggiormente all'approccio di forza, mentre le femmine preferiscono la mormorazione. Per quanto riguarda invece l'età in cui si riscontra questo fenomeno, si hanno due diversi periodi. Il primo tra i 8 e i 14 anni di età, mentre il secondo tra i 14 e i 18, ma negli ultimi anni si sono riscontrati fenomeni di bullismo anche tra i ragazzi di 11 anni e anche di meno.

Una quarta figura è rappresentata dall'"attendente o spettatore" che partecipa all'evento senza prendervi parte attivamente. Il bullismo, quindi, varia da un semplice rapporto diadico ad una gerarchia di bulli che si circuiscono a vicenda.
Gli effetti del bullismo possono essere gravi e permanenti. Il collegamento tra bullismo e violenza ha attirato un'attenzione notevole dopo il massacro della Columbine High School nel 1999. Due ragazzi armati di fucili e mitragliatori uccisero 13 studenti e ne ferirono altri 24 per poi suicidarsi. Un anno dopo un rapporto ufficiale della CIA ha messo in luce ben 37 tentativi pianificati da altrettanti ragazzi in diverse scuole statunitensi, per i quali il bullismo aveva giocato un ruolo chiave in almeno due terzi dei casi.
Si stima che circa il 60-80% del totale del bullismo a scuola, stia evolvendo verso forme inattese in senso stragistico e terroristico. Molti criminologi, ad esempio, si sono soffermati sull'incapacità della folla di reagire ad atti di violenza compiuti in pubblico, a causa del declino della sensibilità emotiva che può essere attribuito al bullismo. Quando, infatti, una persona veste i panni di bullo, assume anche uno status che lo rende meno sensibile al dolore, fino al punto che anche gli attendenti iniziano ad accettare la violenza come un evento socialmente conveniente. A tal proposito l'Anti-Bullying Centre at Trinity College di Dublino è intenta ad approfondire le conseguenze del bullismo sugli aggressori stessi, sia minorenni che adulti, i quali sono più soggetti a soffrire di una serie di disturbi quali depressione, ansia, deficit di autostima, alcolismo, autolesionismo ed altre dipendenze.

 

 

G.Massimo Barrale - Psicologo Psicoterapeuta - Palermo

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Questo articolo contiene alcuni SPOILER, per cui se non avete ancora visto la serie, ma avete intenzione di farlo, tornate in un secondo momento.

I temi affrontati in queste due stagioni sono molteplici, attuali e alcuni tratti dalla realtà. La seconda stagione di Serie tv Tredici (seconda stagione) in particolare ha delle scene talmente violente, esplicite e controverse, che molte persone si sono chieste se fosse realmente necessario includerle in una serie per adolescenti. Gli sceneggiatori si sono giustificati sostenendo che hanno sviluppato le storie con l’aiuto di esperti e, di fatto, varie trame della seconda stagione si basano su vicende realmente accadute. L’obiettivo dei creatori di Tredici era proprio questo, ovvero dimostrare che ci sono situazioni apparentemente surreali ma che fin troppo spesso hanno riscontro nella realtà. Ed è proprio la sensazione che si sta assistendo a qualcosa di surreale che mi ha accompagnato durante la visione della serie. Ma questa sensazione non è altro che una difesa da un pensiero che genera angoscia: queste cose esistono, sono fin troppo reali. Non assistiamo a supereroi che volano e lottano contro creature aliene, non assistiamo ad una banda di nani ed elfi alla ricerca di un anello che porrà fine a tutti i mali del mondo; nello schermo si susseguono le vicende di un gruppo di adolescenti che fa i conti con le difficoltà legate a questa particolare fase di vita: il sentirsi accettati dal gruppo dei pari, la possibilità di fidarsi delle amicizie, la scoperta della sessualità e della propria identità, il rapporto con i genitori, il rapporto con le autorità dell’istituzione scuola, la modalità di gestire e superare il dolore e l’ansia, la paura di essere brutti, il sentirsi fragili dentro e il doversi mostrare spavaldi fuori.
Uno dei personaggi più controversi a mio avviso è Tyler, il ragazzo timido e introverso appassionato di fotografia. Non ha amici se non la sua macchina fotografica, che porta sempre con sé e che usa per immortalare tutti gli eventi scolastici, ufficiali e non. La sua mania per le fotografie lo porta a essere poco apprezzato dai compagni, che si infastidiscono non appena lo vedono. Spesso è preso di mira da parte dei bulli della scuola, e Hanna gli dedica una cassetta a causa di alcune foto scattate di nascosto e poi fatte circolare in cui si vede Hanna baciarsi con un’altra ragazza. Nella seconda stagione Tyler fa un’evoluzione importante. Stringe amicizia con Cyrus, un ragazzo punk con idee ben precise sul sistema e su come sovvertirlo. Questa amicizia si rivela malsana per entrambi i ragazzi: iniziano a compiere atti vandalici ai danni del gruppo dei bulli della scuola, imparano a usare le armi (ricordiamoci che la serie è ambientata in America, un paese dove le armi vengono vendute nei supermercati), si mettono nei guai più di una volta. Tyler è felice, finalmente ha stretto amicizia, ha trovato un gruppo che lo accetta, ha trovato un amico. Ma una serie di eventi porta la situazione a precipitare: dopo aver litigato con Cyrus, ma soprattutto dopo aver subito violenze in un bagno (tre ragazzi lo violentano con un bastone di scopa), la psiche del ragazzo crolla definitivamente. Personalmente ogni volta che vedevo Tyler, durante la visione della serie, avevo in mente la canzone “Jeremy” dei Pearl Jam. E non avevo tanto torto visto che Tyler alla fine della seconda stagione decide di fare una strage durante il “ballo di primavera” della scuola, presentandosi a scuola armato come un militare in guerra. Sarà Clay a farlo ragionare e a fermarlo. Le vicende di Tyler, pur sembrando surreali, prendono spunto purtroppo da fatti di cronaca realmente accaduti; sia la violenza subita nei bagni della scuola (in una scuola del Tennessee nell’ottobre del 2017, cinque ragazzi tentarono di violentare un coetaneo con un palo di metallo), sia il percorso verso la follia che richiama molto al massacro della Columbine High School avvenuto nel 1999 (Infatti, uno stralcio di dialogo dell’ultimo episodio è preso interamente dall’attacco reale. Tyler dice a Clay: “Vattene da qui. Vattene a casa”. Eric Harris, uno degli assassini, vide uno dei suoi amici prima di entrare nel famoso liceo e gli disse queste esatte parole. La destrezza nel costruire bombe casalinghe o le magliette che vediamo indossare ad entrambi sono anch’esse citazioni a Harris e al suo compagno Dylan Klebold). Il legame tra bullismo e reazioni violente contro la scuola ha cominciato ad attrarre sempre più attenzioni in seguito al massacro alla Columbine del 1999. Entrambi gli autori della strage erano considerati ragazzi dotati, che a quanto pare erano stati vittime di atti di bullismo per anni.

 

G.Massimo Barrale - Psicologo Psicoterapeuta - Palermo

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Questo articolo contiene alcuni SPOILER, per cui se non avete ancora visto la serie, ma avete intenzione di farlo, tornate in un secondo momento.

Qualche giorno fa ho terminato di guardare la seconda stagione della tanto discussa quanto acclamata serie tv Tredici. Non avevo grandi aspettative, personalmente credo che difficilmente le seconde stagioni riescano a eguagliare il successo delle prime, soprattutto quando le prime stagioni sono basate su un libro di successo. Ma non sono qui per discutere su quanto sia bella o brutta la seconda stagione di Tredici, più semplicemente vorrei utilizzare la serie come spunto per poter riflettere su alcuni temi purtroppo molto attuali.
Tredici (13 Reasons Why, reso graficamente TH1RTEEN R3ASONS WHY) ruota attorno alle vicende che seguono il suicidio dell'adolescente Hannah Baker, la quale ha registrato i tredici motivi che l'hanno spinta a suicidarsi. La Liberty High School, liceo di una piccola cittadina americana, è sconvolta dal recente suicidio della studentessa, tagliatasi le vene qualche settimana prima. Clay Jensen, anch'esso studente della Liberty High, tornando a casa trova una scatola sulla veranda al cui interno ci sono sette cassette registrate dalla stessa Hannah, in cui spiega le tredici ragioni che l'hanno spinta a togliersi la vita. Clay capisce così di avere a che fare con questa storia e inizia l'ascolto dei nastri. Lo spettatore è catapultato all’interno di una scuola superiore americana, dove si intrecciano le vite di un gruppo di adolescenti che, in un modo o in un altro, provano a “sopravvivere” giorno dopo giorno.
Devo dare per scontato che chi sta leggendo abbia già visto entrambe le stagioni, perché la trama è complessa, i personaggi sono così tanti che descriverli tutti mi porterebbe lontano dalle intenzioni con cui sto scrivendo queste pagine. Se ancora non avete visto Tredici affrettatevi a farlo, perché bella o brutta che sia penso che sia una serie da vedere. Va vista per le emozioni che suscita, per i contenuti estremamente reali (anche se a volte possono apparire esagerati), per lo sguardo che pone al dolore adolescenziale e per le modalità con cui questo dolore viene espresso in questa epoca, dolore che non coinvolge solo gli adolescenti ma tutta la comunità.
Non solo Tredici è una serie che va vista, ma va vista “insieme”, non nel senso del binge watching (termine con cui si indica l'atto del binge-watch ossia il guardare programmi televisivi per un periodo di tempo superiore al consueto, particolarmente l'usufruire della visione di diversi episodi consecutivamente, senza soste), ma nel senso che, a mio avviso, andrebbe vista da genitori e figli adolescenti (o pre-adolescenti) insieme, perché la visione di questa serie può diventare una grande occasione di confronto tra due generazioni, apparentemente lontane tra loro, su tematiche importanti quali il suicidio, il bullismo, il cyber bullismo, il sexting, la pornografia, il sesso, la dipendenza, l’uso di alcool, i contenuti violenti dei videogame, le relazioni tra genitori e figli, il cutting e molti altri ancora. Un piccolo consiglio per i genitori: guardatela prima voi, e poi guardatela una seconda volta con i vostri figli: sarete più preparati ad affrontare certi argomenti. E questi argomenti vanno sicuramente affrontati, in quanto le narrazioni aiutano i ragazzi a configurare e mostrare i loro bisogni profondi, dato che, alla loro età, sono disposti a parlare di sé agli adulti solo indirettamente. Conoscere il libro, la canzone, il film, e appunto la serie tv, preferiti di un adolescente è essenziale per cogliere la direzione del suo sguardo. Conoscere le narrazioni con cui si identificano è essenziale. La letteratura è un lusso ma la narrativa è una necessità. Le serie tv sono un banchetto per la fame di storie, che ci caratterizza e va oltre la mera necessità di allentare la tensione del duro vivere quotidiano. Vale soprattutto per gli adolescenti, per i quali le narrazioni sono veri e propri saggi di identità personale e sociale. La nostra identità è un racconto, senza il quale ci perderemmo negli eventi senza riuscire a dar loro un senso. Sin da bambini amiamo ascoltare le stesse favole, raccontate nello stesso modo, perché da quelle narrazioni dipende l’ordine del mondo.

Uno dei grandi protagonisti di entrambe le stagioni di Tredici è il silenzio: il silenzio dei non detti tra amici o tra fidanzati, il silenzio dei propri vissuti interiori che non trovano espressione se non in agiti, ma soprattutto il silenzio tra genitori e figli. Non credo sia più accettabile il mutismo tra generazioni, tra padri e madri in una stanza e figli e figlie nell’altra. Nel mutismo prendono il sopravvento rancori e odi. Ovviamente due generazioni non possono condividere gli identici schemi esistenziali o i gusti imposti dalle mode, ma il dissenso non può in alcun modo alterare il legame d’amore. Le visioni del mondo, i comportamenti sostanziali (ma anche quelli di minor rilevanza), vanno discussi, ognuno deve chiaramente esprimere cosa ne pensa, ma non giungere alle imposizioni che spaccano i legami e ammazzano l’amore.
Nella serie Tredici assistiamo a molti (ma non tutti) esempi di “cattiva” genitorialità. Alcuni casi a mio avviso si collocano ai limiti dell’impossibile (come i genitori che continuano a mandare la figlia che ha subito violenze sessuali nella stessa scuola in cui c’è il suo violentatore), ma in linea di massima quella che sembra mancare è la possibilità per questi ragazzi di confidarsi con adulti che non siano troppo distratti dal loro lavoro o da altre esperienze. Nella serie troviamo genitori talmente ricchi da essere sempre in vacanza, o talmente poveri che la loro unica fonte di preoccupazione è il procurarsi la droga; oppure troviamo i genitori della protagonista impegnati nell’avvio della loro attività commerciale e alle prese con una crisi coniugale; o ancora vediamo genitori “amici” che quasi fomentano e appoggiano i comportamenti vandalici e antisociali dei figli; Purtroppo dentro queste famiglie assistiamo inermi ai clichè che gli autori stessi ci impongono, per cui il figlio dei genitori ricchi diventa uno stupratore che “prende ciò che vuole” perché non abituato a sentirsi dire di no, il figlio della donna eroinomane diventa a sua volta tossicodipendente e la figlia adottata dalla coppia omosessuale è a sua volta lesbica. Bisogna andare oltre questi sterili clichè (e ammetto che può non essere facile quando certi fenomeni vengono presentati come effetto diretto e scontato di altri con una naturalezza disarmante) per rendesi conto che la disfunzionalità di queste famiglie è data da una totale mancanza di comunicazione al loro interno.
Le figure adulte presenti nella serie non sembrano figure in cui un adolescente possa identificarsi. Sembrano adulti che fanno i genitori senza esserlo. Nella vita reale occorrerebbe che gli adulti dedicassero più tempo all’essere coerenti e autorevoli, invece che autoritari, lasciando da parte per un po’ la corsa al successo, alla ricchezza, al benessere. Ci sono troppi padri che danno tutto, in termini di oggetti e denaro, ma non sono in grado di essere ascoltati (o di ascoltare) perché mancano di quella credibilità che appunto li fa percepire come modelli da imitare.

 

G.Massimo Barrale - Psicologo Psicoterapeuta - Palermo

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